In questi giorni, in pianura padana, il livelli d’inquinamento sono alle stelle. Secondo i vari siti, italiani ed esteri, si sono superati tutti i limiti per la salvaguardia della salute delle persone. E addirittura, a quanto dichiarato dall’americano Aqi, che si avvale di un indicatore differente, domenica l’aria di Milano è risultata la terza peggiore del mondo. Con un indice 193, dietro solo alle maglie nere Lahore (Pakistan) con Aqi 252 e Dacca (Bangladesh) con Aqi 249.
Che cosa respiriamo
Il sito svizzero IQAir aggiunge che, «la concentrazione di PM2.5 (le polveri più sottili sospese in aria) a Milano è attualmente 27,4 volte il valore guida annuale della qualità dell’aria, indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità.» Quali sono i consigli pratici per far fronte a una situazione più che allarmante? Evitare l’esercizio all’aperto, chiudere le finestre per non fare entrare in casa l’aria inquinata, indossare una mascherina all’aperto e procurarsi un purificatore d’aria. Secondo Arpa, in Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte i dati riferiti alle zone di pianura non sono molto diversi.
Quali sono le cause
Tre i motivi principali: la pianura padana si trova in una situazione geografica e climatica molto sfavorevole. Poiché è chiusa su tre lati da Alpi e Appennini e ha una scarsissima circolazione d’aria. Di qui la formazione di nebbie mattutine e notturne che impedisce anche il rinnovamento atmosferico con il conseguente accumulo degli inquinanti. L’altissima densità di popolazione, tra le più alte d’Europa, porta un alto numero di veicoli circolanti e di abitazioni con riscaldamento a gas. Ma non solo, la concentrazione di importanti allevamenti intensivi e coltivazioni agricole, che prevedono un ampio utilizzo di fertilizzanti con la produzione di ossidi di azoto, danno il colpo di grazia. Il 54% del Pm2.5 non è prodotto dalle auto, a differenza di quello che molti ritengono, ma dal riscaldamento e dagli allevamenti. Mettendo tutto insieme, si capisce la pessima qualità dell’aria in pianura padana in questi giorni, superiore ai Paesi dell’Est europeo che impiegano ancora in gran parte il carbone per il riscaldamento e la produzione elettrica.