Immaginatevi la Pianura Padana senza i campi di mais e le loro pannocchie. E il Tavoliere delle Puglie senza la distesa di spighe di grano mosse dal vento. È una rivoluzione per chi, da sempre, produce sempre e solo quello. Con l’addio alla monosuccessione stabilita da Bruxelles, dal 2024, un anno sì e uno no, ci si dovrà adeguare. Si tratta di un obbligo di avvicendamento delle colture stabilito dalla nuova Pac (Politica agricola comune) dell’Unione europea, per la tutela ambientale e della sostenibilità. Poiché produrre sempre le stesse cose minaccia la biodiversità e impoverisce il terreno. Non produrle più, però, stravolge i conti delle imprese agricole e di tutta la filiera. E, di conseguenza, di tutta la filiera: il grano duro è indispensabile per la pasta e il mais per la zootecnica.
Produzioni dimezzate
«L’Unione europea pone maggiore attenzione all’ambiente e meno al mercato» sintetizza Vincenzo Lenucci, responsabile Area economica e Centro studi di Confagricoltura. «Non è facile cambiare le colture. Soprattutto quando le aziende devono rispettare contratti con i fornitori, a cui dover garantire determinate quantità di grano a fronte di una produzione che all’improvviso viene dimezzata». La prima soluzione possibile per gli imprenditori agricoli è quella di dedicare metà dei terreni alla coltivazione storica il primo anno e l’altra metà spostarla al secondo anno: con il risultato, ovviamente, di metà raccolto per ognuno dei due anni.
A un bivio
La seconda soluzione possibile, anche se meno praticabile, è di non rispettare la norma a patto, però, di rinunciare al pacchetto di incentivi comunitari che valgono, in media, 150 euro a ettaro per il grano del Tavoliere delle Puglie e 200 a ettaro o poco più per il mais della Pianura Padana. Cifre garantite, ormai, da quasi un trentennio e rinunciarvi non sarà per niente facile.