Dopo aver ripercorso lo sviluppo dei primi anni creativi di Verdi, con le ultime inaugurazioni dedicate a Giovanna d’Arco, Attila e Macbeth, per il prossimo 7 dicembre Chailly torna con un capolavoro della maturità. «Con Don Carlo si chiude la mia trilogia dell’oppressione, iniziata con Macbeth e proseguita con Boris Gudonov.»
L’opera più lunga
Rappresentato per la prima volta l’11 marzo 1867 al Théâtre de l’Académie Impériale di Parigi, poi tradotto in italiano e rimaneggiato a più riprese, il Don Carlo nel 1868 arrivò alla Scala nel dove venne rifatto nel 1884 nella versione che ascolteremo quest’anno. Si tratta dell’opera più lunga di Verdi ed è la quinta volta che inaugura la stagione della Scala.
“Restate!”
«C’è una logica che lega Macbeth e Boris, che è quella dei detentori di potere assoluto che disintegrano la felicità degli oppressi. Seguii l’opera nel ‘68 con Abbado, che inserì i violoncelli nella scena di “Ella giammai mi amò”», ha poi aggiunto Chailly, «Eseguiremo l’opera in quattro atti, la versione che Verdi riteneva con più concisione e più nerbo. La dominante timbrica passa dal fasto all’oppressione della corte spagnola, dalla melodia della principessa di Eboli a soprusi e violenza del potere. Io prediligo il “Restate!” del primo atto e il violento atto terzo.»
Difficile da dirigere
Chailly la descrive come un’opera molto difficile da dirigere. «Lo feci venti anni fa ad Amsterdam (con Villanzòn). Oggi, dopo tanto Verdi, sono più esperto. Don Carlo è un recitativo continuo, è un’opera di dialoghi a due tre quattro e di riflessioni individuali. Quanto alle voci, Verdi propone una scrittura nuova, ma non neo-wagneriana, è una sintesi delle precedenti». Manca meno di un mese alla prima più attesa dell’anno e i giochi sono quasi fatti, ed è ormai certo il cambio di protagonista: Filippo II sarà Michele Pertusi anziché René Pape. Mentre è confermatissima la coppia di amici Francesco Meli (Don Carlo) e Luca Salsi (Rodrigo) con Anna Netrebko (Elisabetta di Valois) e Elīna Garanča (principessa d’Eboli).